martedì 10 settembre 2013

sul- l’abituale modo di vedere o meglio (o anche), di non vedere




[...]il punto è: come (o se) operare una trasformazione interiore, dovuta a un diverso scambio con il mondo (?), e il punto ancora è: come modulare questo tipo di esperienza  affinché l’immagine della realtà (del sensibile) possa essere bilanciata o amplificata, nell’ambito delle correnti artistiche (di pensiero, anche)?

[...]lo spazio oggettuale della coscienza è trapassato dalle dinamiche dello spazio interno (interiore) relazionando tra loro attraverso linee di forza, tensioni, concentrazioni che definiscono superfici e volumi[...] 

[...]in questo spazio-mondo, in questo spazio-gioco, vengono ricreati luoghi (cavi o in negativo), svuotati dei propri colori naturali.
Alla sottrazione, così come alla morte, corrispondono ‘colori complementari dello spirito’ (sbiancamenti). Non è in gioco dunque soltanto la sapienza tecnica durante l'esecuzione, stesura di un'opera (testuale, anche) quanto -forse- l’esperienza delle cose e degli esseri, nella loro dimensione retrostante, a misura d’uomo.

[...]una sorta di fenomenologia che si evolve nel tempo per mezzo di un linguaggio figurato (e s-figurale), che trova pregnanza non più e non solo nell’astrazione, quanto nella concentrazione sull’essere.

[...]sottrarre il colore alle rappresentazioni, assecondando quella che potrebbe definirsi una phénoménologie de l’experience esthétique, identificando i caratteri dell’esperienza estetica, pur muovendosi da principio da quella artistica e  tentando attraverso la monocromia e il segno, di costruire due sistemi coincidenti.

L’essenzialità del manufatto monocromatico (minimale o minimalista), non lascia il dato naturale alla propria organizzazione (che è un’organizzazione imposta), ma lo ri-ordina, lo ri-organizza attraverso modalità personali che tuttavia rispondono a fenomeni di esteticità entro segmenti del reale, un reale altro che avrà anch’esso le sue leggi ed esibirà una sua propria organizzazione, differente da quella quotidiana, ma pur sempre innestata in essa.

Merleau-Ponty, nel saggio L'occhio e lo spirito, afferma come doppio il fondamento della visione, intercorporeo ed intersoggettivo: 'da un lato sperimentiamo il nostro essere al mondo nell'avverarsi di una continua reversibilità tra vedente e visibile, tra il mondo che ci tocca e ci guarda e noi che siamo toccati e guardati dal mondo […] dall'altro l'occhio del pittore, che restituisce al visibile l'impatto con il mondo mediante i segni tracciati dalla mano, ridesta le esperienze del vissuto nelle altre coscienze, unendo le vie separate […] In generale la visione non è dunque una certa modalità del pensiero, ma il mezzo che è dato all'uomo per essere assente da se stesso, per assistere, dall'interno, alla fissazione dell'Essere.'

[...]il visibile, non il visto (e/o viceversa) sono (potrebbero essere)il punto di partenza di uno studio della percezione che diviene (potrebbe divenire) appercezione, ossia piena consapevolezza del sé [?]

[...]il punto (spunto forse, per ulteriori riflessioni) infine è anche: cosa deve o può (ancora) spiegarci il visibile, cosa può o deve, ancora, spiegarsi lo sguardo?


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