domenica 22 dicembre 2019

Soggetto anfibio







Soggetto anfibio


Il soggetto non coincide con l'individuo individuato, ma comprende in sé, sempre, una certa quota ineliminabile di realtà preindividuale. E' un composto instabile, un che di spurio. Ecco la prima delle due tesi di Simondon su cui si vorrebbe richiamare l'attenzione. "Esiste negli esseri individuati una certa carica di indeterminato, cioè di realtà preindividuale, che è passata attraverso l'operazione di individuazione senza essere effettivamente individuata. Si può chiamare natura questa carica di indeterminato" (Simondon 1989 : 210). E' del tutto errato ridurre il soggetto a quel che, in esso, vi è di singolare : "Si attribuisce abusivamente il nome di individuo a una realtà più complessa, quella del soggetto completo, che porta in sé, oltre alla realtà individuata, un aspetto non individuato, preindividuale, ovvero naturale" (ivi : 204). Il preindividuale è avvertito anzitutto come una sorta di passato irrisolto : la "realtà del possibile", da cui scaturì la singolarità ben definita, persiste ancora a fianco di quest'ultima ; la diacronia non esclude la concomitanza. Per altri versi, il preindividuale di cui è intimamente intessuto il soggetto si manifesta come ambiente dell'individuo individuato. Il contesto ambientale (percettivo, o linguistico, o storico), in cui si inscrive l'esperienza del singolo, è, in effetti, una componente intrinseca (se si vuole : interiore) del soggetto. Il soggetto non ha un ambiente, ma è, in una certa sua parte (quella non individuata), ambiente. Da Locke a Fodor, le filosofie che trascurano la realtà preindividuale del soggetto, ignorando dunque quel che in esso è ambiente, sono destinate a non trovare più una via di transito tra "interno" ed "esterno, tra Io e mondo. Cadono dunque nel
fraintendimento denunciato da Simondon : equiparare il soggetto all'individuo individuato.
La nozione di soggettività è anfibia. L'"io parlo"convive con il "si parla" ; l'irripetibile è intrecciato al ricorsivo e al seriale. Più precisamente, nell'ordito del soggetto figurano, come parti integranti, la tonalità anonima del percepito (la sensazione come sensazione della specie), il carattere immediatamente interpsichico o "pubblico" della lingua materna, la partecipazione all'impersonale general intellect. La coesistenza di preindividuale e individuato in seno al soggetto è mediata, secondo Simondon, dagli affetti. Emozioni e passioni segnalano la provvisoria integrazione dei due lati. Ma anche l'eventuale loro scollamento : non mancano crisi, recessioni, catastrofi. Vi è timor panico, o angoscia, allorché non si sappia comporre gli aspetti preindividuali della propria esperienza con quelli individuati : "nell'angoscia il soggetto si sente esistere come problema per sé medesimo, sente la sua divisione in natura preindividuale ed essere indigeni; l'essere individuato è qui e ora, e questo qui e questo ora impediscono a una infinità di altri qui e di altri ora di manifestarsi : il soggetto prende coscienza di sé come natura, come indeterminato (apeiron) che non potrà mai attualizzare in un hic et nunc, che non potrà mai vivere" (ivi : 111). E' dato constatare, qui, una straordinaria convergenza obiettiva tra l'analisi di Simondon e la diagnosi delle "apocalissi culturali" proposta da Ernesto de Martino.
Il punto cruciale, per de Martino come per Simondon, sta nel fatto che l'ontogenesi, cioè l'individuazione, non è mai garantita una volta per tutte : può tornare sui propri passi, infragilirsi, conflagrare.
L'"Io penso", oltre ad avere una genesi accidentata, è parzialmente retrattile, soverchiato da quanto lo eccede. Secondo de Martino, talvolta il preindividuale sembra sommergere l'io singolarizzato : quest'ultimo è come risucchiato nell'anonimia del "si". Talaltra, in modo opposto e simmetrico, ci si sforza vanamente di ridurre tutti gli aspetti preindividuali della nostra esperienza alla singolarità puntuale.
Le due patologie - "catastrofe del confine io-mondo nelle due modalità della irruzione del mondo nell'esserci e del deflusso dell'esserci nel mondo" (E. de Martino 1977 : 76) - sono solo gli estremi di una oscillazione che, in forme più contenute, è però costante e insopprimibile. 
Troppe volte il pensiero critico del Novecento (si pensi in particolare alla "scuola di Francoforte") ha intonato una nenia malinconica sulla presunta lontananza dell'individuo dalle forze produttive sociali, nonché sulla sua separazione dalla potenza insita nelle facoltà universali della specie (linguaggio, pensiero ecc.). L'infelicità del singolo è stata imputata, per l'appunto, a questa lontananza o separazione. Un'idea suggestiva, ma sbagliata.
Le "passioni tristi", per dirla con Spinoza, insorgono piuttosto dalla massima vicinanza, anzi
dalla simbiosi, tra individuo individuato e preindividuale, laddove questa simbiosi si presenti come squilibrio e lacerazione. Nel bene come nel male, la moltitudine mostra la commistione indistricabile di "io" e "si", singolarità irripetibile e anonimia della specie, individuazione e realtà preindividuale. Nel bene : ciascuno dei "molti", avendo l'universale alle proprie spalle, a mo' di premessa o antefatto, non abbisogna di quell'universalità   posticcia che lo è Stato. Nel male : ciascuno dei "molti", in quanto soggetto anfibio, può
sempre scorgere nella sua propria realtà preindividuale una minaccia, o almeno una fonte di insicurezza. Il concetto etico-politico di moltitudine è incardinato sia al principio di individuazione che alla sua costitutiva incompletezza.


Paolo Virno, Moltitudine e Principio di Individuazione