Lo sguardo che tutto disvela, che tutto penetra, soggiace alla coazione a ripetere. Vuole continuamente sincerarsi di aver visto davvero una certa cosa. Non resta altro dunque che il puro guardare, un’ossessione, in cui il tempo reale è superato e, come qualche volta in sogno, i morti, i vivi e i non ancora nati si ritrovano insieme sullo stesso piano. Quando Kafka nell’inverno del 1911, durante un viaggio di lavoro, visita il Kaiserpanorama di Friedland e attraverso l’oculare immerge lo sguardo nello spazio artificiale, vede la città di Verona con «persone simili a figure di cera, le cui suole sono fissate al lastrico stradale». Due anni dopo andrà a passeggio per gli stessi vicoli e si sentirà così lontano da tutto ciò che ha vita, come possono esserlo soltanto le figure di cera viste a Friedland. Il mistero più profondo di una simile metafisica profana è quella curiosa sensazione di assenza corporea, evocata da uno sguardo che potremmo definire ipertrofico. È significativo che anche i clienti, al momento di lasciare la penombra del peep show e di ritrovarsi in strada, debbano sempre darsi una piccola scossa per riacquistare la padronanza del proprio corpo, che avevano perduto a forza di fissare le immagini.
W.G. Sebald Tessiture di un sogno